
Internet e Facebook rappresentano luoghi dove si può delinquere nel presupposto, non vero, della non punibilità o della difficile perseguibilità dei reati a mezzo web.
La grande mole di sentenze che i tribunali stanno producendo in questo periodo è testimonianza che la punibilità c’è e come!
Il reato più frequente sui social network è la diffamazione per la quale , secondo i giudici, va considerato l’aggravante del mezzo di pubblicità : infatti Facebook viene ritenuto come un “luogo aperto al pubblico”, quindi la condotta penale è più grave e la sanzione pecuniaria è più costosa .
Ovviamente questi principi valgono anche per Twitter, Linkedin, ecc.
Non è superfluo ricordare la differenza tra diffamazione e ingiuria: scatta il reato più grave di diffamazione se l’insulto avviene in pubblico, cioè alla presenza di più di due persone per esempio, su un profilo personale, in una pagina, o in chat cui partecipino più persone.
Se l’offesa viene proferita in una chat a due il reato è configurabile come ingiuria e anche esso può dar luogo al risarcimento del danno.
Anche i commenti a sfondo sessuale, postati sulla bacheca della vittima, secondo la Cassazione, possono rientrare nel reato di molestie a condizione che siano tanto costanti da recare disturbo o costringere la parte offesa a mutare le proprie abitudini di vita.
La vittima ha 90 giorni di tempo per sporgere querela ed è necessario procurarsi le prove del reato. Per esempio salvando la pagina web su un supporto durevole , (comprendendo anche i codici Html) per preservarne l’autenticità anche in caso di rimozione, oppure si può stampare la pagina incriminata e far attestare da un notaio che la copia (ossia la stampa) è conforme all’originale (quella a video) o infine avvalersi di testimoni, in grado di riferire al giudice il contenuto dei post offensivi.
La vittima quindi può agire penalmente nei confronti del colpevole, e chiedere successivamente in sede civile, il risarcimento del danno la cui quantificazione viene rimessa al giudice civile.
Addirittura il pericolo grava anche su chi clicca “mi piace” ai commenti altrui e di recente sono scattati i primi rinvii a giudizio per concorso in diffamazione aggravata che tengono conto del fatto che l’addebito offensivo alla reputazione della vittima aumenta in proporzione alle persone che apprezzano i post denigratori.
Neanche sostenere di essere stati vittima di un furto di identità rende facile sfuggire alla condanna penale: l’eventuale accesso abusivo all’account di posta elettronica o al profilo social deve essere dimostrato con prove tracciabili e documentate.
Esiste anche il reato di sostituzione di persona che si commette nel creare un profilo falso su un social network. In tal caso il dolo specifico – secondo i giudici – è rappresentato dal soddisfacimento di una propria vanità o dall’altrui danno (arrecato alla persona cui si sottrae l’identità). Commette lo stesso reato chi apre un account email sotto falso nome, inducendo in errore i terzi.
Invece, non costituisce diffamazione linkare sul proprio profilo Facebook o su di un sito internet un articolo offensivo scritto da altri, in quanto nel nostro ordinamento scatta la responsabilità solo per chi scrive l’articolo e non per chi rinvia a un articolo scritto da terzi.
E’ utile ricordare che è vietato pubblicare foto senza l’autorizzazione del soggetto ritratto e infatti non si possono postare neppure le foto del coniuge o di altri familiari senza il loro consenso. Così, per esempio, dopo la separazione un coniuge può obbligare l’altro a rimuovere dal proprio profilo le immagini di scatti fatti insieme: in caso di violazione, il tribunale potrà ordinare la rimozione coattiva con un ricorso in via d’urgenza .
Sono vietate le foto di minori anche per una ragione di prudenza: postare le foto di minori, specie se in età scolastica, è estremamente pericoloso poiché ciò potrebbe richiamare le attenzioni di malintenzionati. E poi i genitori non possono decidere circa l’immagine di questi ultimi, disponendone a proprio piacimento.
Secondo la Cassazione divulgare in una conversazione via chat o in una mail il numero di cellulare di altri può portare a una condanna per il reato di trattamento illecito dei dati personali .
Infine i giudici sanzionano inoltre le molestie e lo stalking commesso tramite Facebook, perché il social rappresenta un luogo aperto al pubblico e se i messaggi sono costanti e in grado di turbare la vita della vittima può arrivare una condanna che, nei casi più gravi, prevede fino a quattro anni.