La scelta dell’abito da sposa è un momento importante per ogni matrimonio.
Ma che succede se l’abito provato ed accettato e su cui la cliente abbia commissionato delle modifiche sostanziali non stia bene? Deve essere integralmente pagato ?
La Cassazione con una recente sentenza statuisce che sia necessario riuscire a dimostrare le difformità del risultato finale rispetto a quanto pattuito dalle parti.
Ma come dimostrare che «non sta bene»? Proprio su questo punto si sofferma la Suprema Corte secondo la quale dire “non mi sta bene” è troppo generico e non si può considerare una prova in senso processuale: bisogna invece essere in grado di documentare, con rigore quasi scientifico, quali siano i difetti sartoriali riscontrati.
Le eccezioni troppo vaghe e generiche non sono utili in un’aula di tribunale, secondo i giudici della Cassazione. Mentre il tribunale deve poter valutare l’esecuzione dell’opera ( si tratta di contratto di appalto) sulla base di un criterio oggettivo e non soggettivo.
Per risolvere il problema e aiutare la valutazione dei magistrati su un dato certo sarebbe opportuno, prima dell’intervento sartoriale, che le parti specifichino per iscritto le opere da eseguire nel modo più dettagliato possibile, eventualmente ricorrendo all’uso di disegni.