La vendita di un immobile a prezzo simbolico è rischiosa in quanto è legata sia a una questione di carattere fiscale che di diritto successorio.
Nel nostro ordinamento esiste il principio di autonomia negoziale in base al quale ciascuno è libero di concludere un contratto alle condizioni che più ritiene vantaggiose e convenienti con il consenso dell’altra parte.
Questo principio vale anche in materia immobiliare.
Le parti sono, quindi, libere di regolare il prezzo della vendita per come meglio credono: il venditore, fermo restando il consenso dell’acquirente, può cedere il bene dietro il corrispettivo che preferisce, anche se di molto inferiore a quello di mercato.
Sotto un aspetto civilistico, dunque, la vendita di immobile a prezzo simbolico è pienamente lecita così come lo è la completa donazione.
Ma, questo comportamento può generare due ordini di problemi quando costituisce solo una via “traversa” per aggirare altri obblighi imposti dalla legge: obblighi cioè di natura fiscale e di natura successoria.
Infatti le imposte sulla cessione dell’immobile vengono calcolate in base al prezzo di vendita, che corrisponde poi al valore di mercato del bene come per l’Iva che va corrisposta al venditore ed è pari al 10% del prezzo. Più è basso il prezzo, quindi, meno l’acquirente paga all’erario. Il vantaggio è anche per il venditore che, dichiarando un utile inferiore, verserà meno imposte sul reddito.
In caso di donazione, invece, le cose vanno diversamente poiché l’imposta di registro viene misurata sulla base del valore catastale. Stesso discorso per le vendite tra privati, non soggette ad Iva, ma ad imposta di registro: anche qui, in base alla regola del cosiddetto prezzo valore, l’imposta di registro si calcola sulla base dal valore catastale del bene, a prescindere dal corrispettivo pattuito nell’atto di vendita.
Pertanto è facile comprende che una vendita a prezzo simbolico può essere vista come un’evasione fiscale: il Fisco presume che nessuno venderebbe una casa a un importo irrisorio subendone una sostanziosa perdita. Se davvero volesse eseguire un atto di generosità potrebbe donarla. Sicché, quel prezzo simbolico serve proprio per evitare la tassazione della donazione e gestire l’imposizione fiscale con il minor peso possibile per le parti. Chiaramente, il prezzo simbolico è solo formale: a fronte di quanto dichiarato nell’atto, viene versato un ulteriore corrispettivo in contanti, senza farlo transitare dai conti correnti per non renderlo tracciabile.
Dunque, se il corrispettivo di vendita viene occultato, anche in parte, le imposte di registro, ipotecaria e catastale saranno calcolate su quanto effettivamente pattuito e non più sul valore catastale; inoltre, si applicherà una sanzione dal 50% al 100% della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata.
Se, invece, nell’atto è indicato un valore catastale inferiore rispetto a quello che deriva dalla corretta applicazione del coefficiente stabilito dalla legge, la regola del prezzo-valore non viene disapplicata. In questo caso, infatti, l’Agenzia delle Entrate non effettua l’accertamento sul valore di mercato dell’immobile, ma richiede la maggiore imposta che deriva dall’applicazione del corretto valore catastale.
Anche la vendita a un prezzo simbolico ad uno degli eredi espone l’acquirente alla possibile rivalsa degli eredi che non abbiano visto rispettare le rispettive quote di legittima.
La donazione è un atto che, entro 10 anni dal decesso del donante, può essere revocato dagli eredi legittimari, coniuge e figli, che siano stati danneggiati da tale atto ossia che abbiano ricevuto una quota di eredità inferiore rispetto a quella loro riservata dalla legge.
Agli eredi danneggiati è consentito agire con l’azione di simulazione o con la revocatoria. La prima si esperisce entro 10 anni, mentre la seconda in 5 anni.