Il decreto legislativo 231 del 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento la “responsabilità amministrativa da reato” degli enti. La normativa prevede pesanti sanzioni dirette a colpire i capitali delle società: oltre alle imprescindibili sanzioni pecuniarie – determinate dal giudice mediante l’applicazione di un sistema di calcolo per “quote” – possono essere comminate le seguenti pene: l’interdizione temporanea o definitiva dall’esercizio dell’attività economica, la sospensione o revocazione delle autorizzazioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione o l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti e contributi, nonché il commissariamento dell’ente. A tanto aggiungasi il sequestro preventivo e la confisca del prezzo e del profitto del reato, anche per equivalente.
Il decreto 231, che rappresenta ormai un vero e proprio campo minato, è stato introdotto proprio per colpire i patrimoni delle società: sulla scorta dell’esperienza anglosassone, il Legislatore nazionale ha ritenuto opportuno inserire nel nostro ordinamento la responsabilità “in sede penale” degli enti, infrangendo in tal modo lo scudo di una cultura giuridica nella quale era diffusa la convinzione che una società non potesse delinquere (Societas delinquere non potest). Tanto anche alla luce del principio di rango costituzionale contenuto nell’articolo 27 Cost. che al primo comma recita: «la responsabilità penale è personale».
In estrema sintesi, perché la società possa rispondere in sede penale, è necessario che la persona fisica (soggetto apicale o persona sottoposta alla sua direzione o vigilanza), commetta uno dei reati previsti dal novero normativo. Il ventaglio dei “reati presupposto” è vario, eterogeneo ed in continua evoluzione. Tra i reati più rilevanti troviamo quelli contro la pubblica amministrazione, i delitti informatici, i reati societari, ma anche i reati di omicidio colposo e lesioni colpose commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. E, di più recente introduzione, i reati ambientali. Inoltre, perché possa configurarsi la responsabilità dell’ente, è necessario che la condotta criminosa del singolo sia commessa nell’interesse o a vantaggio della società.
L’ente giuridico, dal canto suo, può escludere la propria responsabilità muovendosi preventivamente in una duplice direzione e realizzando quelli che sono definiti i “due pilastri 231”. In primis implementando ed attuando un valido modello organizzativo perfettamente adattato alla realtà della propria azienda. In secondo luogo istituendo un efficace “organismo di vigilanza”. Il numero dei membri dell’ODV e il loro corrispettivo devono essere proporzionati alle dimensioni ed al fatturato della società. Inoltre la loro presenza, che è diretta a sorvegliare sul rispetto delle regole contenute nel modello 231, deve essere costante all’interno dell’azienda.
I reati societari
Come detto, tra gli illeciti più rilevanti che rientrano nel novero dei reati presupposto, e che pertanto possono determinare la responsabilità in capo alle persone giuridiche, vi sono i reati societari. Ad esempio, il reato di “false comunicazioni sociali” si perfeziona quando i soggetti che rivestono una posizione ai vertici dell’azienda (gli amministratori, i direttori generali ecc.) espongono con inganno – al fine di conseguire un profitto ingiusto per sé o per altri – fatti materiali non rispondenti al vero nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge. Oppure omettono informazioni richieste dalla legge. La pena prevista è quella dell’arresto fino a due anni. Il reato appena descritto è comunque di tipo contravvenzionale che diventa delitto nel momento in cui la condotta criminosa comporta un danno per i soci o per i creditori. In tal caso l’autore del reato rischia la reclusione fino a 3 anni (con querela della persona offesa) e fino a 4 anni, senza necessità di querela, se trattasi di società con azioni quotate. Ma non finisce qui: in applicazione del D.Lgs. 231/01 la società può pagare di tasca propria le sanzioni pecuniarie determinate dal giudice penale in relazione alla gravità del reato, al vantaggio conseguito dall’ente economico e in relazione alle sue dimensioni. Le sanzioni possono anche essere superiori ad un milione di euro.
Ma il panorama dei reati societari risulta variegato e suggestivo. Il legislatore nazionale ha infatti previsto una vasta serie di fattispecie a tutela dei creditori sociali. Costituisce reato anche l’ipotesi in cui gli amministratori restituiscano ai soci le quote da questi conferite. I conferimenti possono essere infatti restituiti solo nei casi di legittima riduzione del capitale sociale. La norma mira a tutelare l’affidamento che i terzi creditori fanno sull’integrità ed effettività del capitale sociale. Vale a dire sul valore complessivo dei conferimenti iniziali o di quelli successivi dei soci. Anche il reato di indebita restituzione è un reato presupposto per l’applicazione della disciplina 231/2001. In tal caso, quindi, la società risponde con le proprie risorse e la sanzione pecuniaria può superare i 550 mila euro.
Pugno duro con l’amministratore “pinocchio” anche nel caso di formazione fittizia del capitale. Gli amministratori e i soci conferenti che formano o aumentano fittiziamente il capitale della società, sono puniti con la reclusione fino ad un anno. Sono quindi illegittime tutte le sottoscrizioni, sopravvalutazioni e attribuzioni, che non corrispondono al vero e che si traducono in una irregolare emissione di azioni.
Anche il delitto di “illecita influenza sulla assemblea” fa parte della platea dei reati in materia societaria. L’articolo 2636 cod. civ. prevede che è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare un ingiusto profitto a sé o ad altri. Il reato di illecita influenza sull’assemblea può essere commesso da chiunque. Il che ben si concilia con le previsioni del decreto legislativo 231/2001 che prevede all’articolo 5 : l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione e “da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza” di uno dei soggetti sopra indicati.
Insomma la normativa in vigore dal 2001 rappresenta un’arma micidiale a disposizione della magistratura: ben venga la responsabilizzazione delle imprese, ma anche il corretto e ragionevole utilizzo degli strumenti preventivi e punitivi. La responsabilità penale delle persone giuridiche rappresenta un deterrente che può avere effetti collaterali anche gravi e determinare la chiusura di grandi società. E non dimentichiamo infine l’applicabilità della confisca.
Luca Cellamare