La Suprema Corte, interviene su un problema di grande attualità relativo al fenomeno del genitore anziano che vuole sposare la badante straniera: la Corte fornisce due importanti chiarimenti.
Il primo è che non si può impugnare il matrimonio del genitore, nonostante la sproporzione di età con la futura consorte, se questi è stato sottoposto a una semplice amministrazione di sostegno.
Di conseguenza è possibile, al contrario, impugnare il matrimonio del genitore se questi ha subito una dichiarazione di interdizione da parte del giudice.
Infatti secondo il codice civile: “il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo -quindi anche i figli- in due casi: se al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato e quindi definitiva; oppure se l’interdizione è stata pronunziata dopo il matrimonio ma l’infermità , per la quale viene dichiarata l’interdizione esisteva già al tempo del matrimonio.
L’azione non può essere proposta se, dopo la revoca dell’interdizione, la coppia abbia coabitato per almeno un anno.
Dunque i due strumenti di protezione della persona – quello dell’amministratore di sostegno e quello dell’interdizione – sono completamente diversi. Il primo è sicuramente meno invasivo e concede al beneficiario maggiore autonomia decisionale visto che l’amministratore interviene solo quando strettamente necessario.
Se il genitore è soggetto ad amministrazione di sostegno, i figli possono rivolgersi al giudice tutelare che, in casi eccezionali, può vietare il matrimonio al genitore anziano .
I casi eccezionali cui fa riferimento la Cassazione sono quelli in cui il divieto serve per tutelare gli interessi dell’anziano con l’amministrazione di sostegno.
La Corte conclude fornendo un ultimo suggerimento su come impedire che il genitore anziano sposi la badante straniera: i figli possono sempre impugnare il matrimonio per «incapacità di intendere e volere», dimostrando cioè che il genitore, in quello specifico istante, benché non interdetto, non era in grado di comprendere il significato delle proprie azioni e il senso delle sue stesse parole.