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Conseguenze penali per le aziende in tema di sicurezza

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Conseguenze penali per le aziende in tema di sicurezza

Con l’introduzione dell’art. 25 septies (omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro), la responsabilità penale in materia di reati sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è stata estesa anche agli enti e cioè alle società in generale, agli enti pubblici economici ed alle associazioni anche se prive di personalità giuridica.
Di questo e di molto altro ancora si è parlato in un recente convegno organizzato a Bari dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di bari, dall’Ordine degli Avvocati di Bari, dall’Eliapos Srl e dall’A.P.O.S.
Nell’occasione il D.Lvo 231/2001 è stato illustrato in tutte le sue sfacettature ed in particolare riguardo ai temi della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di Lavoro.
Come si diceva il Decreto Legislativo 231 del 8 giugno 2001, a cui è stata data l’etichetta di responsabilità amministrativa degli enti, oggi, modificato attraverso l’articolo 25 septies del 2007, riconosce la responsabilità penale della persona giuridica anche in tema di sicurezza sul lavoro.
Questo, in altre parole, significa che nella complessa materia, la magistratura oltre a cercare la responsabilità penale degli apici e/o dei preposti verificherà anche la responsabilità penale della persona giuridica.
Accade allora che il reato commesso da un dirigente, un preposto o altro soggetto responsabile potrà avere gravi ripercussioni sull’azienda.
Infatti, ipotizziamo che venga accertata la responsabilità di un dirigente dell’azienda e vi sia una condanna penale. In una circostanza di questo tipo per l’azienda saranno grossi guai, perché questo presuppone una carenza o addirittura una mancanza organizzativa da parte dell’ente.
Traducendo il concetto sarà, all’azienda, contestata una mancata vigilanza sul funzionamento delle procedure nel settore della sicurezza nei luoghi di lavoro in quanto carente di un sistema organizzativo e quindi di un sistema di controllo (ODV organismo di vigilanza).
Ne viene quindi che oltre agli adempimenti previsti e prescritti dalla normativa di riferimento in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro indicati nel Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 sarà anche necessario attivare un organismo di vigilanza.
Questo tema assume particolare rilevanza in quanto, in seguito ad un incidente sul lavoro, la Procura procederà su un doppio binario di indagine; da una parte la ricerca delle violazioni in seno al D.Lvo 81/2008 e dall’altra in una ricerca di violazioni in seno al D.Lvo 231/2001.
In caso di condanna dell’Ente ai sensi dell’art. 9 del Decreto 231 si potranno configurare diverse tipologie di sanzioni:
- sanzione pecuniaria;
- sanzione interdittiva ( interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, divieto di pubblicizzare beni o servizi);
- confisca;
- pubblicazione della sentenza.

Particolare attenzione merita il capitolo della sanzione pecuniaria che sarà quantificata in relazione al rischio e che funziona invece attraverso un sistema di quote con un numero non inferiore a cento e non superiore a mille.
Se consideriamo che gli importi in materia di una quota vanno da un minimo di €258,23 ad un massimo di €1.549,37, ne consegue che quantificare la sanzione pecuniaria è abbastanza semplice. Per esempio, supponiamo che una quota sia di €.258,23 e che la sanzione preveda una responsabilità penale valutata in 250 quote; ne viene immediatamente che la sanzione pecuniaria sarà di €64.500 (si moltiplica 258,23 x 250 volte).

Con riferimento alle sanzioni pecuniarie, queste possono essere sempre applicate dal giudice; diverso discorso invece per quelle interdittive, che saranno applicate solamente in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste e cioè:
a) quando l’Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale. In questo caso si presume che la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
b) In caso di reiterazione degli illeciti.
La durata della pena interdittiva potrà essere non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni.
La conseguenza è che un Ente potrà tutelarsi solamente mediante l’adozione di un efficace organismo di vigilanza, perché solo in questo caso la magistratura potrà accertare se:
a. l’Ente ha adottato ed attuato idonee misure e modelli di organizzazione capaci di prevenire il reato verificatosi;
b. l’organismo di vigilanza incaricato è effettivamente autonomo e dotato di poteri esecutivi;
c. le persone che hanno commesso il reato hanno eluso fraudolentemente i modelli organizzativi;
d. vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’OdV.

Ne consegue che un ente che adotti un sistema di vigilanza, personalizzandolo, dovrà verificare che il modello sia accompagnato da controlli e contromisure riferibili a tutto il personale ed ai collaboratori esterni; che sia particolarmente rigoroso e dettagliato nei confronti dell’alta direzione. Bisogna stare attenti però a non cadere in un conflitto di interessi, dal momento che è la stessa alta direzione a curare la definizione del modello organizzativo e a nominarne i componenti, retribuiti, dell’Organismo di Vigilanza, a cui è dato il controllo della legalità e l’eticità della condotta.
Altro errore da non commettere è che il sistema di vigilanza non si traduca in un mero deposito di carte con carattere burocratico come spesso avviene per le cattive pratiche seguite da molti consulenti.

La magistratura penale quando interviene avrà l’interesse a verificare se vi è effettiva azione del controllore (Organismo di Vigilanza) rispetto al controllato (alta direzione). Tutto il resto verrà in un secondo momento.

Nell’operatività dei sistemi, si raccomanda pertanto, chiarezza nella descrizione della catena di comando e di controllo dell’azienda, nonché il ricorso a forme documentate e tracciabili di delega dei poteri e delle responsabilità.

 

Dott. Ing. Rolando ANDRIANI

(per gentile concessione di “IMPRESA METROPOLITANA”)