Gli obblighi connessi al matrimonio costituiscono una situazione giuridica con specifiche caratteristiche, diverse rispetto a quelle, meno impegnative, della convivenza.
Ma, bisogna considerare che ci sono diverse situazioni di convivenza che non seguono le stesse regole.
La convivenza more uxorio indica una convivenza basata sugli stessi usi e consuetudini del matrimonio: stabile coabitazione sotto lo stesso tetto, gestione comune degli affari familiari, fedeltà, solidarietà e devozione, comunione materiale e spirituale.
Le coppie possono essere caratterizzate daconviventi stabili: due persone che decidono di convivere e di condividere la propria vita, dagli aspetti affettivi a quelli economici cioè more uxorio;
Possono essere conviventi occasionali con una convivenza precaria, dettata da ragioni di opportunità transitoria come la condivisione dello stesso appartamento e le spese dell’affitto e una vita sostanzialmente autonoma,
Sotto il profilo giuridico, la giurisprudenza, nel tempo, ha equiparato le coppie di conviventi more uxorio alle coppie sposate, estendo ai primi alcuni diritti tipici delle seconde.
Alle coppie di conviventi more uxorio è consentito di costituire un unico nucleo familiare, iscrivendosi all’anagrafe comunale come appunto “conviventi” dichiarando all’ufficio dell’anagrafe di dimorare nello stesso comune e di coabitare nella stessa casa.
Ci sono ovviamente dei requisiti perché affinché si possa instaurare tale convivenza: essere maggiorenni senza rilevanza rispetto alla differenza del sesso, unione affettiva con reciproca assistenza morale e materiale, non già sposati se non dopo la cessazione o lo scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, e coabitazione e dimora abituale nello stesso comune. Dunque i conviventi autocertificano il loro stato dichiarando di coabitare nella stessa casa e di prestarsi reciproca assistenza morale e materiale, proprio al pari delle coppie sposate.
Tra i doveri dei conviventi non vi è quello della fedeltà: in caso di tradimento l’altro non può fare nulla, anzi, è suo dovere continuare a consentigli l’accesso nell’appartamento comune, nonostante la fine della comunione materiale e spirituale, finché questo non abbia trovato una nuova sistemazione. Diversamente si verificherebbe uno spossessamento che potrebbe integrare anche gli estremi del reato.
In caso di malattia o di ricovero, i conviventi hanno il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.
Ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati sia in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute sia in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
Al convivente sono concessi anche i tre giorni di permesso retribuito della legge 104, previsti per familiari disabili.
I rapporti tra i singoli conviventi e i figli non cambiano rispetto alle coppie sposate se non per il fatto che i genitori hanno l’obbligo di riconoscere come proprio il figlio. Infatti il bambino nato da una coppia di conviventi , acquista lo status di figlio solo se i genitori conviventi effettuano il riconoscimento, ossia l’atto con cui dichiarano di essere padre o madre del soggetto nato fuori dal matrimonio: è pertanto un atto essenziale per poter garantire ogni forma di tutela al figlio e al genitore che se ne prenderà cura.
Dal riconoscimento scatta il dovere di mantenimento del bambino fino a quando non sarà in grado di procurarsi da sé un reddito per vivere.
Per quanto attengono i rapporti economici tra i conviventi non si forma la cosiddetta comunione legale che si crea invece, di diritto, tra coppie sposate: il regime patrimoniale dei conviventi è quello della separazione dei beni per cui, salvo le spese fatte per l’interesse comune, come il pagamento delle bollette, ciascuno resta proprietario dei beni acquistati con il proprio denaro.
Può essere firmato un patto di convivenza con cui i conviventi possono regolare i propri rapporti patrimoniali in qualsiasi modo, anche prevedendo l’obbligo di mantenimento in caso di cessazione della convivenza. Chiaramente, senza una previsione di questo tipo, se i due partner dovessero dirsi addio non ci sarebbe alcun obbligo di versare alimenti o altri contributi, neanche un risarcimento del danno.
Alla morte di uno dei due, il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella casa di proprietà di quest’ultimo per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i 5 anni.
Invece se nella stessa casa coabitano figli minori o figli disabili del convivente superstite, quest’ultimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
In mancanza di un testamento, il convivente superstite non si considera erede del convivente defunto, ma ovviamente ciascuno dei conviventi può redigere un testamento e nominare erede il convivente, lasciargli la proprietà della casa, o l’usufrutto o il diritto di abitazione sulla stessa, rispettando il limite della quota di legittima ossia della quota di patrimonio disponibile.