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La partoriente che non intende riconoscere il proprio figlio ha diritto a veder garantito l’anonimato

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La partoriente che non intende riconoscere il proprio figlio ha diritto a veder garantito l’anonimato

Non è superfluo ricordare che in Italia, così come in altri Paesi del mondo, è possibile partorire in anonimato.

La nostra legge assicura alle partorienti  la possibilità di lasciare il neonato in ospedale nel più totale anonimato e con la certezza che sarà al sicuro finché troverà una famiglia.

Il nome della madre – se questa è la sua volontà – rimarrà sempre segreto e sul certificato di nascita del bambino, la cui dichiarazione sarà fatta dal medico o dall’ostetrica,  verrà scritto: “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Inoltre, anche quando il parto non avviene in ospedale, se la donna nutre diffidenza verso la garanzia offerta dall’anonimato, esiste la possibilità offerta da alcuni ospedali italiani  di lasciare il bambino, in completa sicurezza, in speciali culle termiche. Si tratta di culle dotate di sensori che segnalano la presenza del neonato e nelle quali i bambini possono essere lasciati in modo totalmente anonimo, nella certezza che saranno subito accuditi da personale specializzato e sottoposti alle cure necessarie.

Dunque, la struttura ospedaliera deve essere in grado – tramite tutti i suoi operatori  socio-sanitari, di dare piena attuazione ai diritti della donna previsti dalla legge, consentendo a quest’ultima di operare una scelta libera e responsabile circa la volontà di riconoscere o meno il proprio bambino. Le si dovrà garantire, inoltre, una informazione adeguata e tempestiva, un sostegno psicologico e la garanzia di un parto protetto.

Nel momento in cui la mamma dichiari la propria volontà di non voler riconoscere il bambino, la Direzione Sanitaria dovrà fare una immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, facendo  aprire un procedimento di adottabilità del bambino a cui verrà data la possibilità di crescere ed essere educato da una nuova famiglia.

Se, tuttavia, la madre non può riconoscere il figlio per particolari motivi di carattere temporaneo, potrà chiedere al Tribunale per i Minorenni la sospensione della procedura per la adozione.
Tale sospensione, tuttavia, può essere consentita per un periodo massimo di due mesi, nel quali, però, la donna deve continuare a frequentare il proprio figlio con continuità.
Se l’impossibilità al riconoscimento sia dovuta solo all’età, perché la donna non abbia ancora compiuto i 16 anni, in tal caso la procedura è sospesa d’ufficio sino al compimento del 16° anno, sempre che la madre mostri di volersi prendere cura del bambino e continui ad avere con questo un rapporto continuativo.