
I dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non riesce a fornire adeguata giustificazione.
In questo senso l’Agenzia delle Entrate è legittimata ad effettuare accertamenti fiscali per versamenti sospetti nei riguardi di tutti i contribuenti, a prescindere dall’attività da essi esercitata. Spetta poi al contribuente difendersi, fornendo la prova contraria della regolarità delle operazioni bancarie.
La Cassazione con una recente sentenza, ha rigettato il ricorso di una contribuente alla quale l’ufficio aveva attribuito versamenti ingiustificati e sospetti nonostante la co intestazione del rapporto con la madre proprietaria di molti immobili e redditi .
Secondo la Corte l’accertamento fiscale di tipo bancario, basato su versamenti sospetti sul c/c, è sempre legittimo, anche per i conti al 50% con parenti, se non si riesce a dimostrare la provenienza delle somme.
Nelle indagini bancarie, all’amministrazione finanziaria basta dimostrare, per la legittimità dell’accertamento, i dati e gli elementi risultanti dai conti oggetto di controllo.
Il contribuente deve invece dimostrare che i versamenti sospetti non si riferiscono ad operazioni imponibili e a tal fine non è sufficiente una prova “generica”, ma analitica, con indicazione cioè della riferibilità di ogni singolo versamento.
La norma che consente gli accertamenti fiscali sul conto corrente di qualsiasi contribuente, si riferisce ai soli versamenti, mentre esclude la possibilità per l’Ufficio di desumere reddito in nero dai “prelievi.
Viceversa gli accertamenti sui prelievi non giustificati sono consentiti solo per gli imprenditori