L’indennità di accompagnamento, conseguente al giudizio di invalidità da parte dell’Inps, non riguarda solo le patologie di carattere fisico: il beneficio economico previsto dalla legge spetta anche per le patologie di carattere neurologico o mentale.
L’invalido, quindi, ha diritto all’accompagnatore tutte le volte in cui non sia in grado di provvedere ai bisogni primari della sua quotidianità, anche se sia in grado di compiere alcuni banali atti. Lo conferma la Cassazione con una recente ordinanza .
Per ottenere l’indennità di accompagnamento è necessario che la patologia neurologica sia considerabile grave.
Quindi, l’indennità di accompagnamento va riconosciuta, in base a quanto previsto dalla legge , anche in favore di chi, pur essendo materialmente capace di compiere gli atti elementari della vita quotidiana come nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le medicine prescritte, necessita della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici o a gravi carenze intellettive, non è in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri.
In sostanza, l’incapacità richiesta per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non va tanto rapportata al numero degli elementari atti giornalieri che il richiedente può compiere, quanto alla possibilità che egli ne comprenda la portata e le loro ricadute, con particolare riferimento alla “salvaguardia della sua dignità come persona”.