
La Corte di cassazione, con una recente sentenza stabilisce che l’incapacità del malato di compiere gli elementari atti giornalieri della vita deve intendersi, non solo in senso fisico, cioè come idoneità ad eseguire in senso materiale tali atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata e la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica.
Risulta chiaro il riferimento all’incapacità di intendere e di volere e, dunque, anche alle affezioni di tipo psichico.
In sostanza la Cassazione è ritornata sul delicato e spinoso tema dell’indennità di accompagnamento per ampliare le possibilità, da parte dei malati, di chiedere il sostegno assistenziale e il conseguente assegno a carico dell’Inps: l’impossibilità dell’interessato a compiere gli atti quotidiani della vita e dunque anche l’incapacità mentale deve essere equiparata a quella fisica.
Insomma, il diritto al cosiddetto accompagnamento, che farebbe pensare solo a un’impossibilità di deambulare, non va inteso invece in senso materiale, ma anche mentale, come inidoneità dell’interessato a gestire autonomamente la propria quotidianità, sia per menomazioni fisiche che mentali.